mercoledì 21 settembre 2011

UNA VECCHIA STORIA (LA CASCINA FRA DI SESTO) E QUELLA ATTUALE (L'EX DOGANA) ORA WESTFIELD CENTER UNA TRISTE STORIA .DI CUI QUALCUNO SI DEVE VERGOGNARE

SEGRATE I L'ex' Dogana e tornata a far parlare di se balzando alle cronache politiche

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di Paolo Massani

IL FATTO

L'area di Redecesío, conosciuta come l'area ex dogana è tornata prepotentemente a far parlare di sé, balzando alle cronache politiche e giudiziarie dei quotidiani nazionali. Per anni a tener banco, ci ha pensato lo scempio della dogana, una specie di record mondiale dello spreco, anni di lavoro e di danaro pubblico gettati lette

ralmente al vento. A far da spalla l'incredibile vicenda della costruzione della vicina "strada a viabilità speciale", che ancor oggi dopo vent'anni non è ancora finita.

L'attualità dei nostri giorni, vede i magistrati monzesi impegnati "a vederci chiaro" sul progetto che prevede, su quel pezzo di terra, l'edificazione niente meno ché di una città (Westfíeld



Noi de l'Eco, che come altri organi di stampa, abbiamo seguito queste vicende, abbiamo sentito la necessità di ascoltare la voce, di chi da quel pezzo di terra è stato malamente (come vedremo) cacciato (con i crismi di legge), per far posto a quella che avrebbe dovuto essere la più grande dogana d'Europa.





L'INCONTRO CON ANDREA TAVEGGIA Mentre salgo, le scale di un vecchio e signorile palazzo di Milano, per incontrare Andrea Taveggia, sono un po' timoroso. Forse perché non conoscendolo non so cosa aspettarmi e soprattutto non sapendo niente di lui mi sento impreparato.

So solo che il signor Andrea Taveggia, figlio di Antonio, è stato l'ultimo proprietario e conduttore della storica cascina Fra di Sesto di Redecesio, prima dell'irrompere della dogana. La porta dell'appartamento è aperta, una stretta di mano decisa, io sguardo franco e sicuro, di un uomo che porta molto bene i suoi -quasi ottant'anni, che ancora prima di accomodarci su un comodo divano mi dice "Cosa vuoi sapere da me, cosa la spinta qui?". D.- La voglia e la curiosità di sapere, di conoscere la storia di quel pezzo di terra, la storia della sua cascina che ancora a Segrate in tanti ricordano.

R.- Stiamo parlando di una cascina che si tramandava da padre in figlio da oltre -550 anni. Al cimitero di Segrate ci sono le spoglie dei miei nonni e bis nonni, quella terra è stata nostra, lavorata da noi e dai nostri contadini per oltre tre secoli. Il terreno della casci_na si estendeva per 650 pertiche, avevamo cavalli

ma soprattutto 187 capi di bestiame, mucche da latte che per anni venivano munte manualmente, dai contadini (15 0 16) che vivevano e lavoravano con noi. Mio padre diceva tante mucche tanto latte e tanto letame che serviva per i campi.

Negli ultimi anni si coltivava frumento e mais. Prima estesi erano i campi lavo

rati a marcite in grado di produrre erba per il bestiame per tutti i mesi dell'anno. Posso dire con orgoglio che siamo stati i primi ad usare la macchina per mungere.

Sotto la guida di mio padre, sempre attento alle novità, la nostra azienda agricola diventò una delle più grandi del paese.



D.- Mi tolga una curiosità sul nome della cascina, Fra di Sesto, miIsa dire l'origine?

R.- Si diceva o per lo meno si era tramandata una storia, che parlava dell'arrivo 500 anni fa, su quelle terre, di un gruppo di frati provenienti da Sesto.

Si diceva anche bi fosse sotto quelle terre, Lina lunga e fantomatica galleria,

che noi da ragazzini abbiamo ripetutamente cercato e mai trovato.

Da ragazzino la cascina era un sogno, abitavamo aMilano e quando mio padre mi voleva punire bastava che mi dicesse "non ti porto in cascina".

D.- Sotto la guida di suo padre, prima dell'arrivo dello Stato e dell'espro

prio per la dogana, la cascina era passata indenne a due guerre mondiali?

R.- Calma, già ai primi anni del novecento, non ricordo (con esattezza l'anno), io Stato un bel giorno arrivò da mio padre, con l'ordine di esproprio di una parte delle nostre terre, per la costruzione dello smistamento ferroviario.

Allora tutto andò nel migliore dei modi. Tra gente per bene si rispettarono le regole, si decise il giusto prezzo e il risarcimento all'esproprio avvenne immediatamente. Durante la seconda guerra mondiale, sulle nostre terre vennero sganciate diverse bombe. Fummo costretti a vendere tutte le mucche, ricordo

che una buona parte le cedemmo alla cascina Boffalora dei fratelli Sala. I cavalli morirono tutti sotto le bombe, per due anni i campi non furono coltivati. D.- Nel dopo guerra come andarono le cose? R.- Un po' alla volta, si tornò alla vita normale, l'attività dell'azienda riprese. Ricordo un paio di episodi particolari. Negli anni 50', il laghetto di Redecesio si stava quasi prosciugando, si rivolsero a noi della cascina.

Mio padre ideò una soluzione che salvò la vita del laghetto. Per questa cosa, anni dopo venne premiato dal comune di Milano con l'Ambrogino d'oro. Conosce la via Rubattino? Ebbene in quel periodo decisero il prolungamento della via fino ad arrivare al ponte di Segrate. Chiesero i permessi a mio padre per passare sulle nostre terre, a trecento metri dalla ferrovia, lui disponibile come sempre diede il suo benestare. Avevano già fatto il tracciato e piantato un'infinità di paletti, ma poi non si sa perché abbandonarono il progetto.

D. - Arrivando alla questione dogana, cosa mi racconta?

R.- Prima dell'esproprio per la dogana, devo raccontarle un episodio importante, quanto mai attuale.

L'anno era il 1962, un bel giorno, si presentano in cascina, delle persone, (alcune da Roma), rimasi colpito dalla presenza di una grossa Mercedes.

Non dico i nomi, ma era gente di partito. Chiesero a mio padre la trasformazione delle nostre terre, da

area agricola in area fabbricabile, offrendo una sostanziosa tangente (1500 lire al metro quadro). Lui, che era sempre stato disponibile ad aiutare il comune per l'oratorio, il campo sportivo, i giardini o altro, ma onesto e rispettoso della legge com'era, mancò poco che cacciasse fuori a pedate, quella gentaglia.

D.- Pur trovando una grande somiglianza con le vicende dei nostri giorni -se ho ben capitola dogana non c'entrava niente?

R.- Giusto, noi continuammo a lavorare come sempre, se non che due o tre anni dopo, con l'approvazione da parte del comune di Segrate, del nuovo piano regolatore, l'area venne vincolata come zona doganale, sulla base di una certa legge che non ricordo. Noi non potevamo fare altro che rimetterci al volere dello Stato e attendere i suoi passi.

D.- Cosa successe poi e suo padre... cosa ne pensava?

R.- Mio padre, non era certo contento di dover lasciare la sua terra. Ma memore del precedente esproprio di inizio secolo e del corretto comportamento dello Stato, ci rassicurava: "non preoccupatevi, si concorda il giusto e nel momento in cui lasciamo, veniamo pagati".

Le cose non andarono affatto così.

L'esproprio "per interessi superiori" della cascina e delle terre arrivò nel 1977. Mio padre nel frattempo (1971), ci aveva lasciato a causa delle ferite e

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dei traumi, subiti con l'esplosione della bomba in piazza Fontana, nell'attentato terroristico alla banca dell'agricoltura di Milano.

D. - Ricordo, che l'attentato causò 16 morti e numerosi feriti. I terroristi agirono il pomeriggio, del 12 dicembre del 69', sapendo che la banca sarebbe stata ben-gremita per il "mercato dei venerdì", che richiamava in banca gli agricoltori dalle provincie di Milano e Pavia. Suo padre, Antonio Taveggia era lì?

R. - Si, mio padre fu ferito gravemente e fu scagliato dall'esplosione contro una delle colonne interne della banca. Fu ricoverato all'ospedale Fatebenefratelli; ricordo che io e mio fratello medico, girammo per le corsie piene di feriti, fino a che non lo trovammo.

La sua morte due anni dopo, per noi tutti fu una grande perdita.

Questo tragico evento gli risparmiò le successive delusioni e arrabbiature a causa dell'esproprio.

D. - Perché, come andarono le cose?

R. - Un disastro. Per la verità non saremmo a posto ancora oggi; mi creda, su consiglio degli avvocati, ho lasciato perdere. A me come coltivatore diretto, per la legge (che regola gli espropri), mi spettava una certa cifra.

Dallo Stato, per mezzo del Genio Civile, dovevo ricevere una lettera e il relativo pagamento dell'indennità pattuita. lo avevo bisogno di quei soldi per avviare un'attività da un'altra parte.

Dallo Stato silenzio assoluto; per dieci anni non ho visto un becco di un quattrino. Solo con l'aiuto di altri, alla fine sonò riuscito ad avere la cifra che mi spettava, ulteriormente deprezzata, dall'inflazione galoppante di quegli anni. Mi rimane la soddisfazione, di aver visto finire in galera, gli uomini dei Genio civile e dei Lavori Pubblici, cioè quelli che stavano dall'altra parte del tavolo.

D. - Ha dei grossi rimpianti?

R.- La cascina era gran parte della mia vita. Mi

hanno costretto ad andar via per che cosa? Per costruirci cosa? Una gigantesca struttura mai entrata in funzione e lasciata marcire. Sono andati avanti a lavorare per anni, spendendo montagne di soldi pubblici per chi?

D.- Ogni tanto ripassa da quelle parti? i

R.- Come no, le, mie radici sono lì, certamente che ci passo, con un gran mal di cuore ma ci passo. Quando vedo quella; lunga palizzata, una muraglia che da sola sarà costata un patrimonio.

E Se ripenso che l'intera area venne spolpata di buona terra, per uno spessore di circa un metro e poi ricoperta di ghiaia. Che tristezza, quanti miliardi avranno speso? Tutto per niente.

Ancor oggi, ripensandoci mi si stringe la bocca dello stomaco.

Dopo aver visto, alcune foto della cascina, mentre sto per andarmene, il signor Andrea sì avvicina ad una vetrina, piena di medaglie e lì vicino in bella vista una palla ovale inconfondibile "il rugby è il più bello sport che esiste. Ho giocato 23 anni, 2 a Brescia e gli altri 21 con l'Amatori Rugby Milano nel mitico campo Giuriati. Sono stato in nazionale, dal 1954 al 1964; di cui cinque e mezzo come capitano. Senza mai prendere una lira, il rugby mi ha dato soddisfazioni enormi. Come si sarà capito la cascina Fra di Sesto e il Rugby sono una parte importante della mia vita".

Le parole del signor Andrea, non hanno bisogno di spiegazioni, la storia della sua famiglia e dei suoi antenati, accostate alle brutte vicende successive, sono significative e importanti.

Cominciamo (l'invito è rivolto a tutti), quando parliamo, scriviamo e ci riferiamo a quel pezzo di terra, a non definirlo più "l'area ex dogana" ma alla "terra dei Fra di Sesto". Giusto per ridare a quella terra, quel che si merita e non legarla ad una vicenda di cui ci si può solo vergognare.

 

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