venerdì 18 gennaio 2013

SALVIAMO I 244 LAVORATORI DEL SAN RAFFAELE DAL LICENZIAMENTO

Il San Raffaele all'ultimo atto: l'accordo romano o gli esuberi



Lunedì potrebbe essere l'ultimo giorno per salvare il salvabile. Cioè per dare un lieto fine alla complicata telenovela del San Raffaele ed evitare l'irreparabile: 244 licenziamenti tra i dipendenti amministrativi e gli infermieri. Dopo l'incontro fiume dell'altro ieri, i sindacati e i vertici dell'azienda ospedaliera si incontreranno nuovamente davanti ai mediatori del ministero del Lavoro. In questi giorni ognuna delle due parti mediterà sui reali spiragli e gli eventuali punti d'incontro e lunedì si cercherà di sottoscrivere un documento comune.
Altrimenti? Altrimenti l'azienda spedirà le lettere di licenziamento e i sindacati scenderanno in piazza per protestare. Nessuno - né la squadra di Rotelli né le frange più «talebane» dei lavoratori - propende per questo scenario. O almeno, nessuno lo avvalla a cuor leggero. 
C'è da dire che, dopo l'incontro romano, i toni sembrano essersi ammorbiditi un po'. Dopo mesi di muro contro muro, ora si intravede una via d'uscita. Dal canto loro i sindacati si dicono disponibili a sospendere i premi aziendali. «Ma solo per uno o due anni - specifica Renato Zambelli (Cisl) - e non, come chiede l'azienda, fino a quando i bilanci torneranno in attivo». 
Punto numero due: il contratto privato proposto dall'ad Nicola Bedin. Fino a poche settimane fa veniva visto esclusivamente come uno spauracchio. Ora si pensa di poterlo far firmare ai nuovi assunti. A quelli di vecchia data, però, andrebbe corrisposto un superminimo o il riconoscimento di qualche scatto di livello. 
Punto numero tre, il più ostico: i tagli di alcune voci dello stipendio. L'azienda ipotizza un 9%, i sindacati chiedono di ridurre la percentuale. Ma anche la Rsu, che finora ha mantenuto posizioni rigide e si è mostrata poco disponibile alle trattative, abbassa la guardia: «Auspichiamo davvero che si possa trovare una quadra - commenta il coordinatore Angelo Mulè - Su alcuni punti c'è stata una disponibilità a venirci incontro, ma per ora non c'è nulla di definitivo. Al momento non possiamo parlare né di accordo né di accordo mancato». Di fatto resta in sospeso anche la decisione su un eventuale sciopero. L'agitazione era stata annunciata lunedì scorso dai sindacati, dopo l'ennesima trattativa fallita, stavolta davanti al prefetto di Milano. E resta lì, «congelata» in attesa di una svolta. Nelle corsie dell'ospedale circola un volantino firmato «Comitato referendario Lavoratori, per una nuova democrazia sindacale», in cui si chiede di «limitare i danni» e di non scioperare. 
L'azienda ribadisce le posizioni già espresse nella lettera inviata ai lavoratori lo scorso 15 dicembre. E cioè che la conversione al contratto della sanità privata «può consentire ai dipendenti di ottenere un beneficio fiscale (tassazione agevolata al 10%) come risulta dagli accordi regionali siglati da Cgil, Cisl e Uil». Inoltre, specifica il cda, non ci sarebbero variazioni dell'orario di lavoro da 36 a 38 ore ma tutele integrative. Sta ai sindacati cogliere o meno l'ultima chiamata.
A complicare il quadro ci si mette la situazione (sempre più tragica) dei bilanci dell'azienda ospedaliera: oltre al super buco nelle casse (65 milioni di debito nel 2011 più altri 37 nel 2012), c'è il nodo dei fondi regionali, che nel 2013 non saranno corrisposti. Si tratta di un taglio di altri 9 milioni che, di questi tempi, avrebbero fatto comodo, eccome, all'istituto di via Olgettina


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