Riforma del lavoro. Non siamo d’accordo
Non siamo d’accordo!! La proposta di riforma del mercato del lavoro presentata dal governo nella notte non ci trova per nulla in accordo. Va nella direzione sbagliata, quella già imboccata a suo tempo dal governo Berlusconi.
La stella polare che orienta le scelte è la stessa. Deregolamentazione e flessibilità restano le formule magiche. Dovrebbero garantire sviluppo e crescita: maggiore efficienza, maggiore produttività e dunque anche più posti di lavoro e salari migliori. Ma è una via che si già dimostrata senza uscita: i dati europei stanno lì a palesarlo. Deregulation e flessibilità selvaggia non hanno affatto innescato quel circuito virtuoso. Hanno solo rallentato e spesso paralizzato il percorso della ricerca e dell’innovazione, sino a tradursi in calo della produttività e ostacolo alla crescita.
La modifica, nella sostanza equivalente al taglio, degli ammortizzatori sociali non offre alcuna protezione a chi ne era privo, e che privo ne resta. In compenso costituisce un formidabile incentivo ai licenziamenti, che sconfina nell’irresponsabilità in una fase di crisi in cui i posti a rischio si contano in centinaia di migliaia.
La riduzione delle tipologie di contratto da quasi 50 a 8 è una svolta, ma solo apparente. Non sfiora l’anima del dramma in cui sono costretti a vivere nell’insicurezza permanente milioni di giovani e lavoratori precari. Il praticantato resta infatti la base del sistema, e si tira dietro la precarietà come modello fondante e in prospettiva unico delle relazioni industriali.
D’altra parte, solo con la volontà di procedere a tappe forzate verso la precarizzazione del lavoro si spiega l’insistenza sulla restrizione o cancellazione dell’art.18. Null’altro infatti può giustificarla e il più bugiardo tra gli alibi è proprio quello che sbandierala necessità di dare lavoro ai giovani.
Manca in compenso, nel piano del governo, quel che dovrebbe esserci: una strategia capace di scommettere sulla modernità reale, dunque sulla produzione ad alta compatibilità ambientale, e quindi sull’innovazione e sulla ricerca.
Manca anche qualsiasi disponibilità al dialogo con quelle centinaia di migliaia di lavoratori che il 9 marzo hanno scioperato e manifestato a Roma e con i precari che si sono più volte mobilitati. Anche per questo è necessario e urgente che il Parlamento intervenga per correggere profondamente quella riforma. Perché quella parte fondamentale del Paese non può e non deve restare ignorata, inascoltata e isolata. Lo è già da troppo tempo.
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