Quanto è vecchia l’Italia di Renzi
E’ iniziata la corsa per la guida del centro sinistra, in
un’Italia attraversata da conflitti e tensioni, in un Paese non
pacificato che dalle miniere del Sulcis, a Taranto, a Flumeri, alle
mille vertenze sommerse e invisibili chiede alla politica un segnale di
speranza e cambiamento. I dati che indicano recessione, disoccupazione,
precarietà del lavoro, registrano ciò che nel senso comune è chiaro: un
modello di civiltà, fondato sulla centralità del lavoro, dei diritti
sociali e di cittadinanza, del welfare, è in crisi. E con esso rischia
di entrare in crisi anche la base di legittimazione democratica della
politica.
Di fronte a questo scenario, la coalizione progressista dovrebbe interrogarsi su come ricostruire un tessuto di civiltà, su come riconsegnare speranza ad un Paese che la sta smarrendo, su come reagire alla crisi disegnando una comunità solidale. L’irruzione nel dibattito politico del sindaco di Firenze Matteo Renzi non mi pare offrire spunti positivi allo sforzo che il centro sinistra deve compiere.
Abbiamo ascoltato parole d’ordine vecchie di almeno vent’anni, che rimandano ad un liberismo fuori tempo massimo, mentre la sinistra discute, in Europa, e fuori dall’Europa, di come si declina un nuovo intervento pubblico, di come si esce dall’ideologia rigorista che ha messo in ginocchio il Continente. Insomma Renzi sembra assomigliare molto più a Reagan che ad Obama.
Pare quasi, ascoltandolo, che il dibattito non sia tra destra e sinistra, ma tra quelli che c’erano “prima” (la vecchia politica di cui fanno parte tutti eccetto se stesso), e quelli a cui è riservato il “dopo”, e il futuro (ed ovviamente parla di sè). Siamo di fronte ad una retorica giovanilistica insopportabile.
Se davvero Renzi ha a cuore le nuove generazioni dica quali strumenti di reddito di cittadinanza, di contrasto alla precarietà, quali leggi sui diritti civili ha in mente per rendere questo Paese meno “nemico” dei giovani. E quando parla di “merito”, indicando un tema giusto nel Paese in cui il “familismo amorale” diviene sistema, in cui clientelismo e corporativismo rappresentano piaghe pesantissime, ci dica, una volta premiati i “primi”, cosa ne sarà dei secondi, dei terzi, e di tutti gli altri, fino agli ultimi.
Ci dica se davvero considera Marchionne paradigma della modernità, e lo vada a ripetere a Mirafiori, a Termini Imerese, a Pomigliano, o ai lavoratori della Irisbus e dell’Fma. Insomma le sue parole d’ordine sono esattamente il contrario di ciò che occorre al Paese, e di ciò che la sinistra deve ricominciare a dire, e a fare. Giustamente Nichi Vendola ha affermato che dalla centralità del lavoro si deve ripartire, e il sostegno ai referendum sulla riforma dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori e sull’art.8 della legge 141 sulla contrattazione collettiva va in questa direzione.
Va riaffermato che su questo terreno non saranno consentite ambiguità al Partito Democratico. Non c’è giustizia, non c’è rinnovamento generazionale, non c’è nessuna società dinamica senza diritti.
Il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ha dichiarato che lo Statuto del lavoratori, al di là delle nobili intenzioni, è stato un freno allo sviluppo del Paese e all’occupazione. Questa affermazione è chiaramente la base ideologica della riforma dell’articolo 18.
E’ del tutto evidente che se il centro sinistra non sarà una forza di alternativa a questa rappresentazione dell’Italia e a queste politiche sarà destinato alla sconfitta, e ad alimentare ancora di più le derive populiste che attraversano il Paese. E dentro questo schema non ci sarebbe spazio per alcuna sinistra. La sfida deve essere quella del cambiamento e della speranza, della ricostruzione di una politica nuova che parli il linguaggio della coerenza e della chiarezza. Abbandonando slogan sconfitti dalla storia.
Roberto Montefusco
Di fronte a questo scenario, la coalizione progressista dovrebbe interrogarsi su come ricostruire un tessuto di civiltà, su come riconsegnare speranza ad un Paese che la sta smarrendo, su come reagire alla crisi disegnando una comunità solidale. L’irruzione nel dibattito politico del sindaco di Firenze Matteo Renzi non mi pare offrire spunti positivi allo sforzo che il centro sinistra deve compiere.
Abbiamo ascoltato parole d’ordine vecchie di almeno vent’anni, che rimandano ad un liberismo fuori tempo massimo, mentre la sinistra discute, in Europa, e fuori dall’Europa, di come si declina un nuovo intervento pubblico, di come si esce dall’ideologia rigorista che ha messo in ginocchio il Continente. Insomma Renzi sembra assomigliare molto più a Reagan che ad Obama.
Pare quasi, ascoltandolo, che il dibattito non sia tra destra e sinistra, ma tra quelli che c’erano “prima” (la vecchia politica di cui fanno parte tutti eccetto se stesso), e quelli a cui è riservato il “dopo”, e il futuro (ed ovviamente parla di sè). Siamo di fronte ad una retorica giovanilistica insopportabile.
Se davvero Renzi ha a cuore le nuove generazioni dica quali strumenti di reddito di cittadinanza, di contrasto alla precarietà, quali leggi sui diritti civili ha in mente per rendere questo Paese meno “nemico” dei giovani. E quando parla di “merito”, indicando un tema giusto nel Paese in cui il “familismo amorale” diviene sistema, in cui clientelismo e corporativismo rappresentano piaghe pesantissime, ci dica, una volta premiati i “primi”, cosa ne sarà dei secondi, dei terzi, e di tutti gli altri, fino agli ultimi.
Ci dica se davvero considera Marchionne paradigma della modernità, e lo vada a ripetere a Mirafiori, a Termini Imerese, a Pomigliano, o ai lavoratori della Irisbus e dell’Fma. Insomma le sue parole d’ordine sono esattamente il contrario di ciò che occorre al Paese, e di ciò che la sinistra deve ricominciare a dire, e a fare. Giustamente Nichi Vendola ha affermato che dalla centralità del lavoro si deve ripartire, e il sostegno ai referendum sulla riforma dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori e sull’art.8 della legge 141 sulla contrattazione collettiva va in questa direzione.
Va riaffermato che su questo terreno non saranno consentite ambiguità al Partito Democratico. Non c’è giustizia, non c’è rinnovamento generazionale, non c’è nessuna società dinamica senza diritti.
Il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ha dichiarato che lo Statuto del lavoratori, al di là delle nobili intenzioni, è stato un freno allo sviluppo del Paese e all’occupazione. Questa affermazione è chiaramente la base ideologica della riforma dell’articolo 18.
E’ del tutto evidente che se il centro sinistra non sarà una forza di alternativa a questa rappresentazione dell’Italia e a queste politiche sarà destinato alla sconfitta, e ad alimentare ancora di più le derive populiste che attraversano il Paese. E dentro questo schema non ci sarebbe spazio per alcuna sinistra. La sfida deve essere quella del cambiamento e della speranza, della ricostruzione di una politica nuova che parli il linguaggio della coerenza e della chiarezza. Abbandonando slogan sconfitti dalla storia.
Roberto Montefusco
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